Domani grande giorno: Lara Piccirillo, una mia carissima amica, si laurea.
L'argomento della sua tesi è particolarissimo e si apre a un'infinità di suggestioni: il voyeurismo.
Ha aperto un blog pieno di spunti bellissimi sul tema: Peeping Tom.
Qualche tempo fa mi ha chiesto se mi andava di buttare giù qualcosa lasciandomi ispirare dalle idee della sua tesi. Ho rimandato fino a ieri sera, ma finalmente ce l'ho (anche se il mio impietoso scanner non è molto fedele...):
Non mi mettevo seriamente su una tavola da decisamente troppo tempo. Una delle ultime volte fu per la locandina del Cremonapalloza Rock Fest. I disegni che la componevano, per altro, li ho regalati al Teatro Degli Orrori e poi me li sono rivisti in giro per il mondo (un po' come il nano di Amélie :D ) dentro al video che documenta il loro tour 2010 (circa da 4:35). Figata! :)
Tornando al voyeurismo e alla tesi di Lara, la mia illustrazione non è l'unico omaggio: trovandolo un tema narrativamente fertile, ho messo la pulce nell'orecchio al mio amico David C. Fragale e, come speravo, lui ha tirato fuori altra roba calda. Tra le tante cose che fa, infatti, David scrive - e scrive benissimo. Solitamente non regala al web i suoi testi, quindi sappiate che questi cinque personaggi che ha descritto valgono come pietre rare.
Chiudo il post con questo suo/mio regalo.
L'argomento della sua tesi è particolarissimo e si apre a un'infinità di suggestioni: il voyeurismo.
Ha aperto un blog pieno di spunti bellissimi sul tema: Peeping Tom.
Qualche tempo fa mi ha chiesto se mi andava di buttare giù qualcosa lasciandomi ispirare dalle idee della sua tesi. Ho rimandato fino a ieri sera, ma finalmente ce l'ho (anche se il mio impietoso scanner non è molto fedele...):
Non mi mettevo seriamente su una tavola da decisamente troppo tempo. Una delle ultime volte fu per la locandina del Cremonapalloza Rock Fest. I disegni che la componevano, per altro, li ho regalati al Teatro Degli Orrori e poi me li sono rivisti in giro per il mondo (un po' come il nano di Amélie :D ) dentro al video che documenta il loro tour 2010 (circa da 4:35). Figata! :)
Tornando al voyeurismo e alla tesi di Lara, la mia illustrazione non è l'unico omaggio: trovandolo un tema narrativamente fertile, ho messo la pulce nell'orecchio al mio amico David C. Fragale e, come speravo, lui ha tirato fuori altra roba calda. Tra le tante cose che fa, infatti, David scrive - e scrive benissimo. Solitamente non regala al web i suoi testi, quindi sappiate che questi cinque personaggi che ha descritto valgono come pietre rare.
Chiudo il post con questo suo/mio regalo.
***
Marco:
Gli piaceva guardare nelle gole, quando la gente sbadigliava. Per lui quelle gole erano finestre, dentro ci potevi vedere accadere le cose più importanti della vita, talvolta un filamento di saliva poteva essere il segnale di un avvenimento particolare. Se uno apriva le tende morbide e schiudeva l’abisso, lui si sporgeva per cogliere più che poteva il rosa, il rosso, il buio più in fondo, dietro l’ugola e verso le tonsille – i denti no, non gli interessavano, erano mattoni inutili, come i muri che impedivano di guardare dentro le case. Una volta una ragazza aveva aperto la bocca in modo abnorme, sembrava che stesse male – erano sul tram – e lui aveva quasi scavalcato il sedile per godere del panorama; gli era parso di poter scorgere una tettoia laggiù in fondo, come quelle di travi e pannelli in fibra di vetro di certe stazioni dei treni; più giù, un movimento umido, nero, di drago affusolato, e più in basso ancora una polpa bianca, un essere protoplasmico fatto di sperma ingoiato qualche giorno prima, che ancora si teneva, si teneva al mondo…
Quando lei chiuse le fauci dai molti segreti, lui aveva già ottenuto ciò che cercava, e da qualche parte in basso si strofinava nei pantaloni.
Ribes:
Amava le farfalle nere, le farfalle nere di qualsiasi specie. Amava raccoglierne in grande quantità e lasciarle libere per la casa, libere di svolazzare fra i mobili, sulle piante, di posarsi sul suo cibo, ma fuori dalla finestra no, le finestre erano chiuse, dovevano stare chiuse. Lei ci aveva messo i giornali, sulle finestre, perché sapeva che dall’altra parte della strada, dal palazzo di fronte, c’erano dei vecchi sporcaccioni che la guardavano. Alle volte temeva che quelli potessero mandargli ragni rossi-spia che l’avrebbero osservata mentre sedeva sulla tazza del bagno, o che potessero ammazzargli le farfalle. Però non era mai successo.
Quando le farfalle morivano, lei ci metteva sopra del nastro adesivo molto potente. Andava giù in strada e le lanciava per aria, come fiori da un mazzo. Il più delle volte ricadevano tristemente sul marciapiede, dove subito venivano fatte a brandelli dalle scarpe dei passanti, ma in qualche caso una delle care estinte si appiccicava sulla schiena di qualche ignaro pedone. Allora lei lo seguiva ovunque lui/lei andasse (ma meglio se era un lui), lo seguiva finché non arrivava a casa, o arrivava la sera. Allora, spesso, lei faceva dietro-front e tornava alle sue faccende domestiche. Solo qualche volta seguiva lo sconosciuto e la sua farfalla oltre il portone, oltre la soglia di casa sua, oltre i suoi segreti, e uccideva tutti i ragni rossi-spia che trovava.
Clenda:
Clenda spia dai buchi dei cessi pubblici. Fa dei grandi cerchi neri, sempre più fitti, intorno alla fessura da cui spia gli altri, poi in cima all’enorme macchia nera scrive: “Lasciate ogni speranza voi che entrate”; in certi casi, presa da uno sconvolgimento interiore, riversa tutt’intorno al cerchio di cerchi neri una serie di volgarità gratuite e fantasiose. Accade quando nessuno usa il cesso col buco, uno dei due lati vale l’altro, tanto lei ha vergato entrambe le pareti, così che entrambi i cessi sono suoi.
Ma qualcuno c’è sempre. E lei li guarda, ma non guarda laggiù, dove c’è tutta l’azione, no, lei guarda loro, le loro facce, i loro movimenti, se parlano da soli, se si sforzano, ma il più delle volte preferisce lo sguardo smarrito che alcuni hanno, e la fantasia vola.
Clenda non si eccita a fare questo, non si eccita mai. Il sesso le fa paura, da piccola le hanno detto che dallo scarico dei cessi, dalle turche, ti guardano i bambini morti.
Ludovico Centofanti:
“Sono malato. Molto malato. Non riesco a smettere di guardare questa ragazza, voglio i suoi seni, il suo culo, voglio posare il viso sulla pancia di lei, e voglio venirle dentro tutte le volte che mi va. Voglio ingravidarla all’infinito, voglio sposarla, voglio abbracciarla sempre, passeggiare con lei. Voglio il suo sorriso in eterno, solo per me, e voglio che lei mi tenga la mano, e che me la infili nei pantaloni ogni volta che voglio/lei vuole, e voglio che urli e che mi faccia urlare.
Voglio che mi noti. Voglio smettere di guardarla da lontano, con il binocolo dalla finestra di camera mia, che mi fa ansimare, mi fa morire, mentre la guardo svestirsi, e togliersi il trucco, pronta per il sonno, o vestirsi e farsi bella, pronta per la vita. Lei so che mi vorrebbe, ma sono io che non ho il coraggio di andare da lei, e mi accontento di avere orgasmi pleiadiani, che tanto non contano, che posso sognarla e lei neanche sa che esisto, che per lei farei di tutto.
La voglio. La ucciderei, per quanto la voglio.
Sono malato, sì, ma non come pensate voi.
Sono un voyeur? Forse. Ma non è quello il mio problema.
Ho detto che voglio tenerla per mano. Bene, non ho mani.
Abbracciarla? Non posso. Mi mancano pure le braccia.
Passeggiare me lo posso scordare, le mie gambe sono cadute anni fa, come il mio pisello, ucciso dalla necrosi e finito sul pavimento, come un triste monito. I miei orgasmi sono puramente intellettuali, credetemi.
Anche volendo non potrei mai realizzare il desiderio più innocente, che mi carezzasse il volto. Si è sfaldato anni fa. Fascitis necrotizzante, diosolosa come faccio a essere ancora vivo.
Ho solo il mio binocolo sul suo piedistallo, puntato sempre lì, su di lei, e il mio sgabello soffice che ormai è tutto il mio mondo. Vorrei che questo corpo marcisse del tutto, si sgretolasse, così potrei volare da lei, invece di stare qui, a fare quello che nessuno sa più fare: sognare.”
Talpa
Era cieca e senza legami. Nessuno la voleva, e lei non voleva nessuno. Si concedeva ogni tanto di andare in certi locali, dove le ragazze andavano con le ragazze, e le piaceva sentire i gemiti, certi sussulti, e odori che si spandevano nell’aria, e allora si sentiva bene. Senza emozioni, ma bene. Si sentiva maliarda, scaltra, una donna terribile e seducente. Ogni tanto le facevano annusare le dita, ogni tanto quelle dita si insinuavano dietro le spesse lenti nere che portava sul naso; gli infilavano le dita nelle orbite vuote, frastagliate come strane caverne molli, rovistavano, che una volta una di quelle, toccandole, venne e sparse liquido ovunque, anche sulle sue rughe, poi pretese di farlo ancora e ancora. Lei lo concesse con un tenero sorriso, ma per poco, dopo un po’ sentiva il dolore. E poi, la cosa più strana: si sentiva bagnata. Non laggiù, fra le cosce, ma proprio lì, negli occhi, e non era un contrazione quel pulsare interno, quel brivido di piacere?
La chiamavano Talpa, fuori da lì, fuori dal locale, nel mondo crudele e ipocrita. Ma là dentro, nel suo inferno proibito, era meglio conosciuta come Due Passere. E tutte la amavano.
Gli piaceva guardare nelle gole, quando la gente sbadigliava. Per lui quelle gole erano finestre, dentro ci potevi vedere accadere le cose più importanti della vita, talvolta un filamento di saliva poteva essere il segnale di un avvenimento particolare. Se uno apriva le tende morbide e schiudeva l’abisso, lui si sporgeva per cogliere più che poteva il rosa, il rosso, il buio più in fondo, dietro l’ugola e verso le tonsille – i denti no, non gli interessavano, erano mattoni inutili, come i muri che impedivano di guardare dentro le case. Una volta una ragazza aveva aperto la bocca in modo abnorme, sembrava che stesse male – erano sul tram – e lui aveva quasi scavalcato il sedile per godere del panorama; gli era parso di poter scorgere una tettoia laggiù in fondo, come quelle di travi e pannelli in fibra di vetro di certe stazioni dei treni; più giù, un movimento umido, nero, di drago affusolato, e più in basso ancora una polpa bianca, un essere protoplasmico fatto di sperma ingoiato qualche giorno prima, che ancora si teneva, si teneva al mondo…
Quando lei chiuse le fauci dai molti segreti, lui aveva già ottenuto ciò che cercava, e da qualche parte in basso si strofinava nei pantaloni.
Ribes:
Amava le farfalle nere, le farfalle nere di qualsiasi specie. Amava raccoglierne in grande quantità e lasciarle libere per la casa, libere di svolazzare fra i mobili, sulle piante, di posarsi sul suo cibo, ma fuori dalla finestra no, le finestre erano chiuse, dovevano stare chiuse. Lei ci aveva messo i giornali, sulle finestre, perché sapeva che dall’altra parte della strada, dal palazzo di fronte, c’erano dei vecchi sporcaccioni che la guardavano. Alle volte temeva che quelli potessero mandargli ragni rossi-spia che l’avrebbero osservata mentre sedeva sulla tazza del bagno, o che potessero ammazzargli le farfalle. Però non era mai successo.
Quando le farfalle morivano, lei ci metteva sopra del nastro adesivo molto potente. Andava giù in strada e le lanciava per aria, come fiori da un mazzo. Il più delle volte ricadevano tristemente sul marciapiede, dove subito venivano fatte a brandelli dalle scarpe dei passanti, ma in qualche caso una delle care estinte si appiccicava sulla schiena di qualche ignaro pedone. Allora lei lo seguiva ovunque lui/lei andasse (ma meglio se era un lui), lo seguiva finché non arrivava a casa, o arrivava la sera. Allora, spesso, lei faceva dietro-front e tornava alle sue faccende domestiche. Solo qualche volta seguiva lo sconosciuto e la sua farfalla oltre il portone, oltre la soglia di casa sua, oltre i suoi segreti, e uccideva tutti i ragni rossi-spia che trovava.
Clenda:
Clenda spia dai buchi dei cessi pubblici. Fa dei grandi cerchi neri, sempre più fitti, intorno alla fessura da cui spia gli altri, poi in cima all’enorme macchia nera scrive: “Lasciate ogni speranza voi che entrate”; in certi casi, presa da uno sconvolgimento interiore, riversa tutt’intorno al cerchio di cerchi neri una serie di volgarità gratuite e fantasiose. Accade quando nessuno usa il cesso col buco, uno dei due lati vale l’altro, tanto lei ha vergato entrambe le pareti, così che entrambi i cessi sono suoi.
Ma qualcuno c’è sempre. E lei li guarda, ma non guarda laggiù, dove c’è tutta l’azione, no, lei guarda loro, le loro facce, i loro movimenti, se parlano da soli, se si sforzano, ma il più delle volte preferisce lo sguardo smarrito che alcuni hanno, e la fantasia vola.
Clenda non si eccita a fare questo, non si eccita mai. Il sesso le fa paura, da piccola le hanno detto che dallo scarico dei cessi, dalle turche, ti guardano i bambini morti.
Ludovico Centofanti:
“Sono malato. Molto malato. Non riesco a smettere di guardare questa ragazza, voglio i suoi seni, il suo culo, voglio posare il viso sulla pancia di lei, e voglio venirle dentro tutte le volte che mi va. Voglio ingravidarla all’infinito, voglio sposarla, voglio abbracciarla sempre, passeggiare con lei. Voglio il suo sorriso in eterno, solo per me, e voglio che lei mi tenga la mano, e che me la infili nei pantaloni ogni volta che voglio/lei vuole, e voglio che urli e che mi faccia urlare.
Voglio che mi noti. Voglio smettere di guardarla da lontano, con il binocolo dalla finestra di camera mia, che mi fa ansimare, mi fa morire, mentre la guardo svestirsi, e togliersi il trucco, pronta per il sonno, o vestirsi e farsi bella, pronta per la vita. Lei so che mi vorrebbe, ma sono io che non ho il coraggio di andare da lei, e mi accontento di avere orgasmi pleiadiani, che tanto non contano, che posso sognarla e lei neanche sa che esisto, che per lei farei di tutto.
La voglio. La ucciderei, per quanto la voglio.
Sono malato, sì, ma non come pensate voi.
Sono un voyeur? Forse. Ma non è quello il mio problema.
Ho detto che voglio tenerla per mano. Bene, non ho mani.
Abbracciarla? Non posso. Mi mancano pure le braccia.
Passeggiare me lo posso scordare, le mie gambe sono cadute anni fa, come il mio pisello, ucciso dalla necrosi e finito sul pavimento, come un triste monito. I miei orgasmi sono puramente intellettuali, credetemi.
Anche volendo non potrei mai realizzare il desiderio più innocente, che mi carezzasse il volto. Si è sfaldato anni fa. Fascitis necrotizzante, diosolosa come faccio a essere ancora vivo.
Ho solo il mio binocolo sul suo piedistallo, puntato sempre lì, su di lei, e il mio sgabello soffice che ormai è tutto il mio mondo. Vorrei che questo corpo marcisse del tutto, si sgretolasse, così potrei volare da lei, invece di stare qui, a fare quello che nessuno sa più fare: sognare.”
Talpa
Era cieca e senza legami. Nessuno la voleva, e lei non voleva nessuno. Si concedeva ogni tanto di andare in certi locali, dove le ragazze andavano con le ragazze, e le piaceva sentire i gemiti, certi sussulti, e odori che si spandevano nell’aria, e allora si sentiva bene. Senza emozioni, ma bene. Si sentiva maliarda, scaltra, una donna terribile e seducente. Ogni tanto le facevano annusare le dita, ogni tanto quelle dita si insinuavano dietro le spesse lenti nere che portava sul naso; gli infilavano le dita nelle orbite vuote, frastagliate come strane caverne molli, rovistavano, che una volta una di quelle, toccandole, venne e sparse liquido ovunque, anche sulle sue rughe, poi pretese di farlo ancora e ancora. Lei lo concesse con un tenero sorriso, ma per poco, dopo un po’ sentiva il dolore. E poi, la cosa più strana: si sentiva bagnata. Non laggiù, fra le cosce, ma proprio lì, negli occhi, e non era un contrazione quel pulsare interno, quel brivido di piacere?
La chiamavano Talpa, fuori da lì, fuori dal locale, nel mondo crudele e ipocrita. Ma là dentro, nel suo inferno proibito, era meglio conosciuta come Due Passere. E tutte la amavano.
Tonight goodnight a tutti i guardoni...
14 comments:
Eleta:
Viveva nel cuore degli altri, e li spiava tutti, uno per uno, cercando in essi la risposta al proprio sè. Le piaceva infilare i suoi pesci nei loro ventricoli, nell'aorta, spingendosi nell'infarto imminente, cercando il senso di quella meraviglia, chiedendosi come condensarla, come riprodurla, processandola e ricreandola. Li osservava attraverso il vetro dei propri occhi, pesce esotico che spia i suoi padroni, si chiedeva quando sarebbe arrivato il mangime. E quando venivano a lei, scattava la trappola, apriva lo sterno come il dio Tezcatlipoca e li rinchiudeva, come la mano ritratta troppo tardi.
Il suo voyeurismo? Nessuno, tranne quello di volere spiare i luoghi dove non sono ammesse finestre, o serrature, o fessure, o...
-----------------------------------
grazie, Eta
un bacio
D.
i tuoi disegni sono meravigliosi
@ DCF
Se fossi un dio davvero sarei così.
Il dubbio è: mi conosci troppo bene o... mi hai disegnata tu?
@ Chechi
I pesci volanti ringraziano felici! :)
più che disegnata modellata male;)
...sarcasmo...;)
DCF
commossa ogni volta che leggo e vedo il tuo peeping Lara
e come scrivi/dici sempre tu ghhh!!
Peeping me!
L.
Tesoro... :°)
Parlo spesso del tuo blog, sai? Ci credo troppo! :)
hihih
che pisolaaa!
sei la follower number one in assoluto!
comunque oggi ho provato con blogspot..mi sa che mi sono incartata
CASPIOOOOO...emmò?
LAV
Peeping me
L
Huhuh, Larina, che succede? Se serve mano io ti faccio anche un'intensiv lesson eh! :P L'altra volta eravamo un po' di corsa (nonostante i tuoi tempi cinematografici che sospendono le gambe (all'aria)).
Sono follower number one de che, poi, scusa?! XD
Mi sa che la mia Piccirillo sta impazzendo. =)
Impazzisco! sono rimasta intrappolata nei miei tempi cinematografici....
Pepping you!
Peepingami quando vuoi, amor! :D
ho sbagliato a scrivere Peeping...pazzesco!
cmq http://peeping--tom.tumblr.com/ ti osserva
*
Heheheheh :D
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