Tuesday 29 December 2009

"Specie di spazi" /// "IL VU∅T∅" + "Perché lavori ai ferri?": per l'approfondimento del lettore

Fu proprio donando una copia de IL VU∅T∅ e discutendo di Perché lavori ai ferri? (quando ancora non aveva un audiovideovolto) che mi venne consigliato questo libro:
Specie di spazi*
di Georges Perec
E subito fu aggiunto: - Ne comprerai copie e copie, lo vorrai regalare a un sacco di persone... E sarà sempre un ottima idea per i regali di Natale!

In effetti, sono solo a metà di questo magnetico libricino che già non resisto, devo parlarne.
E le prime persone a cui vorrei suggerirlo sono i miei carissimi amici Federico Fronterré, Antonio Feroldi e Silvia Mete, rispettivamente un fotografo/videomaker, un designer e un'urbanista (questi ultimi sono classe '89 come me, quindi forse le mie definizioni sono affrettate, ma con un po' di lungimiranza, non mi sento troppo impaziente, conoscendone le teste!). Loro lo potranno amare: sia per il loro campo professionale che per le loro inclinazioni personali.

Subito dopo, lo potrei consigliare a chi prova un piccolo sussulto, pensando alle madelaine proustiane (no - chiedo venia - non ho letto quel libro, senz'altro lo farò, ma, per ora, vi ho comunque letto attraverso). A chiunque ragioni sulla memoria e sui luoghi, a chi ami un certo tipo di introspezione ben dosata su quell'osare intellettuale che ha un gusto squisitamente cerebrale. Nonché a chiunque ami la letteratura, ovviamente.

Ma, su questo blog, mi divertirò a consigliarlo a chi ha letto IL VU∅T∅ e ha visto Perché lavori ai ferri? e volesse fare un approfondimento sull'autrice... :P Tipo le bibliografie in fondo a una monografia, no? ;) In realtà, il tono di Specie di spazi è distantissimo dai miei: Perec è posato, forse, io invece ho lavorato di getto in entrambi i casi, qualcuno direbbe che ho lavorato di pancia, più che di testa (ma io non credo alla separazione di questi elementi...).
In sintesi, questo libro parla molto, appunto, del vuoto - e di ciò che vi sta attorno. Con tutta la calma, la dedizione e la puntualità che la letteratura può concedersi, Perec tenta di sviscerare il concetto del vuoto, da un punto di vista che io ho dovuto tralasciare (in parte perché al momento mi premeva altro, in parte perché sapevo che l'argomento era troppo vasto e quella non era la sede).

Come pensare il nulla? Come pensare il nulla senza mettere automaticamente qualcosa intorno a questo nulla, senza farne un buco nel quale ci si affretta a mettere qualcosa, una pratica, una funzione, un destino, uno sguardo, un bisogno, una mancanza, un sovrappiù?

Ho provato a seguire docilmente quest’idea molle. Ho incontrato molti spazi inutilizzabili, e molti spazi inutilizzati. Ma non volevo né l’inutilizzabile, né l’inutilizzato, bensì l’inutile. Come scacciare le funzioni, i ritmi, le abitudini, come scacciare le necessità? Ho immaginato che abitavo un appartamento immenso, talmente immenso che non riuscivo mai a ricordarmi quante stanze ci fossero (l'avevo saputo, un tempo, ma l'avevo dimenticato, e sapevo di essere ormai troppo vecchio per ricominciare un conteggio così complicato): tutte le stanze, eccetto una, sarebbero servite a qualcosa. L'essenziale era trovare quest'ultima. Non era più difficile insomma, che per i lettori della Biblioteca di Babele trovare il libro che desse la chiave di tutti gli altri. C'era effettivamente qualcosa si abbastanza vicino alla vertigine borgesiana a volersi rappresentare una sala riservata all'ascolto della Sinfonia n. 48 in do, detta Maria Teresa, di Joseph Haydm, un'altra consacrata alla lettura del barometro o alla pulizia del mio alluce destro...

[...]

Non sono mai giunto a qualcosa di veramente soddisfacente. Ma non penso di aver perso del tutto il mio tempo provando ad oltrepassare questa linea improbabile: attraverso questo sforzo, mi sembra che traspaia qualcosa che potrebbe essere uno statuto dell’abitabile...

[Nota Etosa. Esattamente come Proust, anche Borges e l'Aleph mi perseguitano. Di quest'ultimo, però, ho perlomeno già il libro ad attendermi sullo scaffale. Lo aprirò presto, lo aprirò presto. Promesso, Stribius!]

Ora dovrei spiegare anche perché c'entra con Perché lavori ai ferri?. Questo forse è più complesso. Probabilmente c'è un legame meno stretto, o forse non lo so ancora spiegare del tutto (a parte il fatto che, vi ricordo, mi manca ancora la seconda metà, che figuriamoci se avevo la pazienza di leggerlo tutto, per scrivere il post). (Che poi, quando l'avrò finito, di certo avrò altro da aggiungere, ma d'altronde that's Eta, questi sono i miei soliti handicap e ho imparato a conviverci...). Ahem - dicevo!!! Di sicuro, però, ci sono almeno un paio di elementi.
Perec pensa sullo spazio e ci invita costantemente a guardarlo anche in un altro modo. Anzi, in primis, a guardarlo, a capirlo, e poi magari pure a pensarlo diversamente. (Tant'è che la stessa impaginazione e la disposizione spaziale del testo sono sfalsati - ma non in modo gratuito, come si potrebbe sospettare alla luce di tutta la letteratura postmoderna, bensì in modo sempre originale, creativo, positivo).

Non si pensa abbastanza alle scale.

Niente era più bello, nelle vecchie case, delle scale. Niente è più brutto, più freddo, più ostile, più meschino, nei palazzi d'oggi.

Si dovrebbe imparare a vivere di più nelle scale. Ma come?

Ecco, in Perché lavori ai ferri? ero anche stranita dall'uso anomalo di un luogo: fare a maglia nella sala d'attesa di una stazione (nell'episodio reale, invece, eravamo in treno). E uno. Due: così come Perec si ostina a guardare i luoghi - ma tutto - fino in fondo, a immaginare e re-immaginare, io ho iniziato a interpretare e reinterpretare quel momento, quella persona e quell'azione.
Di solito in una sala d'attesa si aspetta, al massimo si leggiucchia, cose così, ma non si fa a maglia e non si stringono amicizie. La sala di attesa di una stazione dovrebbe essere un luogo grigio, dove le persone sono tappezzeria urbana, giusto? Un brindisi alle menti che si perdono nella tappezzeria, dunque, ogni texture è interessante, righe, righe, righe, guardatela con la parte destra del cervello, perdetevici, oppure, appunto, come l'Aleph, guardatela con l'Intelletto in Genere di Aldous Huxley, il drappeggio è ciò che di più interessante vi sia, e ogni umano è una tela, è una storia.


Infine, una sua foto - che come l'ho vista mi è fiorito il cuore:


E adesso, ditelo, se per caso vi sembrava un noioso intellettualoide, uno scrittorucolo morto nei suoi arzigogolii mentali, be', adesso non gli volete già un bene dell'anima?! Georges, se c'è un Aldilà, ti offrirò un caffé. E anche al micio-scimmia, ovviamente! (Oddio, forse meglio un croccantino, al micio...).


P.S. Con un breve googletrip, mi sono facilmente accorta di come questo nome sia ingombrante, nella letteratura del Novecento, ma io,ahimé, non l'avevo mai sentito nominare. Sicché abbiate pietà del mio entusiasmo, se vi pare ignoranza.
Viva lo Stupore.


* Attenzione, si fa fatica a trovarlo, a me dissero anche che era fuori catalogo: ma ostinatevi e ce la farete. Spero! Anche perché, io, la mia copia, sto per perderla, quindi non posso prestarla (altrimenti: viva il bookcrossing!).

4 comments:

Gary Coopo said...

bel consiglio, io avevo letto di lui solo "la vita istruzioni per l'uso", attratto dal titolo. Te lo consiglio assolutamente, ma se lo leggi devi predisporti con tempo e voglia e dedizione, e' una specie di puzzle narrativo, architettonico, una cosa geniale.

Eta said...

Grande Gary! Tra l'altro ho realizzato che quel titolo l'avevo adocchiato anche io, non ricordo quando e come, ma non mi era rimasto in testa il nome di Perec. Ma ora avevo un altro buon motivo per leggerlo. E ora ne ho un altro ancora, grazie a te! ;)

Andrea Settimo said...

Buon duemilaedieci!

Codesto signore mi incuriosisce assai.

Eta said...

Anche a te, qaro!

Fatti incuriosire, fatti incuriosire... ;)