Friday, 30 March 2012

Cliché moi


Non chi sei, ma cosa sei in grado di fare.
L'identità si può forse disciogliere nell'esterno. Aprire la coscienza, dice Cristina.

Non tento di mettere a fuoco me, ma cosa sanno fare le mie mani.

Se hai sempre vissuto nello stesso contesto, ti sei abituato a una versione di te.
Tutto ha deciso che ci sono delle cose che sai fare ed altre che non sai fare.

Test: cambiamo contesto e vediamo come reagisce il soggetto.


Cliché dei cliché fotografare sè che fotografa sè, lo so, ma se certe cose diventano un cliché, un motivo ci sarà, o no?
(Se ne volete vedere di carine, fatevi un giro sul buon Frizzifrizzi, oppure sul tumblr Celebrity Camera Club.)

Tuesday, 27 March 2012

Altrove

Se mi veniva chiesto di cosa tratta la mia tesi, prima di discuterla citavo il processo creativo.
Se mi viene chiesto di cosa tratta la mia tesi, ora che l'ho discussa cito il fallimento.

L'idea originaria era, circa, di scrivere del processo creativo mentre io stessa creavo un'animazione. Un'animazione priva di un soggetto o di un qualunque storyboard da seguire, un'animazione decisa giorno per giorno. Nella tesi scritta, avrei quindi parlato anche del personale processo creativo che avrei vissuto realizzando questo video.

Nei mesi che mi sono concessa, però, qualcosa è andato storto. Le espressioni comuni che potrebbero dare un'idea di quello che è successo sono "blocco creativo", "crisi esistenziali" e cose di questo tipo, amplificate, intrecciate, sovrapposte, esplose e implose.

Il mio processo si è mangiato il progetto.
Il mio progetto è diventato il processo.

Ho sempre concordato con l'idea che il percorso possa valere forse più della meta, ma a patto che questa non diventi una scusa per la propria arrendevolezza.
Fino all'ultimo, ho sperato di farcela.
In quei momenti in cui vedevo delle immagini nella mia mente che avrei voluto rappresentare, ero euforica, ero veramente stravolta dall'ispirazione. Io lo volevo fare davvero, ci tenevo.
Ma, appunto, qualcosa è andato storto.

Sicché è questo qui sotto il video che concretizza il mio processo creativo — il video che ho presentato durante la discussione della mia tesi.


Se vi state chiedendo se avete dei problemi di visualizzazione, no, non li avete, sono proprio cinque secondi di nero.

Nonostante il mio parto creativo sia finito con un bimbo già morto in grembo, la gravidanza c'è stata eccome. Il processo, per quanto fallimentare, è avvenuto.
Questo processo è quindi ciò che ho comunque tentato di spiegare nella tesi scritta, che potete leggere online qui.
Non crediate che leggerla al monitor sia una modalità in surrogato.
Io stessa l'ho scritta e per prima fruita a monitor, chiaramente, e la mia attitudine era affine a quella dello stream of consciousness, che, in un certo senso, percepivo anche nell'atto dello scrolling. Scorrere un unico nastro verticale di parole è un atto di lettura ininterrotto, non spezzato dalle pagine da sfogliare (così ordinatamente divise tra pagina a sinistra e pagina a destra e retro e fronte).
La versione cartacea è stata rilegata come una fisarmonica verticale, con un pezzetto di scotch lungo la parte corta del foglio: anche in cartaceo, quindi, la mia tesi è un unico nastro verticale (piegabile).
Il processo si è mangiato il progetto, dicevo, e per questo motivo ho stampato sui fogli di animazione che riportano su un lato i buchi da registro. I fogli su cui dovevo disegnare, sono diventati i fogli su cui c'è scritto perché non ho disegnato.
Quanto a copertine e rilegature, naturalmente non c'erano. Ho presentato la mia tesi sbattuta dentro un sacco nero dello spazzatura.


Questo è più o meno quanto serve sapere per fruire del mio lavoro.
Però vorrei aggiungere una considerazione a posteriori.
Il mio lavoro è andato bene, è stato apprezzato. Cose che possono accadere nelle Accademie di Belle Arti, non a Giurisprudenza, naturalmente. Ne conosco anche il motivo, lo condivido.
Conscia di una modalità simile, io avrei potuto fare la furba, calcolare tutto ciò mesi e mesi prima, e spassarmela per tutto il tempo di mezzo.
Invece sono sensibilmente tonta, quindi, quei mesi, come dicevo, sono comunque stati di sentita gestazione. Vissuta tutta, fin troppo.
Non per drammatizzare eccessivamente, ma la metafora della gravidanza è davvero calzante. Prendetela con le dovute pinze, non voglio paragonare l'entità delle due esperienze, ma voglio sfruttarne i paralleli per spiegarmi.
Del mio parto di bimbo morto non potrò mai essere contenta, gioiosa, euforica, nonostante tutti mi abbiano tenuto la mano e mi siano stati vicino comunque se non di più, quando è successo. Anche una gravidanza che va male è un'esperienza "interessante" da condividere, d'altronde. Lo riconosco. Questo deposita in me consolata e mesta fierezza. Soprattutto perché chi viene a contatto con questa storia ne resta piuttosto colpito, di solito: questa storia comunica. E lo scopo primo è sempre quello lì: comunicare. Se tutto ciò, quindi, può portare qualcosa a qualcuno e lasciare qualche piccola traccia dentro altri corpi, io sono già soddisfatta, profondamente. Alcune persone mi hanno dimostrato veramente tanto apprezzamento, tanta empatia, addirittura tanta stima, soprattutto qualcuno mi ha dimostrato di esserne rimasto "turbato" nel senso più nobile, mi ha dato l'impressione che ciò che ho vissuto io germogliasse viralmente anche in altre persone, potesse far riflettere. Questo è molto importante; questo mi tira su. Però tutta questa storia resta una nascita mancata, quindi la mia soddisfazione non sarà mai una sensazione del tutto positiva. Non sto elemosinando pacche sulle spalle, per nulla al mondo. È lampante, però, che non posso indossare la gioia di un vero vittorioso, tutto qui. Lo dico in modo sereno, ormai, quasi come cronaca di un ricordo di me.
Essendo una tesi così criminalmente personale, ho a lungo esitato dal renderla pubblica.
Per altro detesto il modo in cui si chiude, brusco e incompleto, avrei preferito avere il tempo di un finale che cullasse e risolvesse. Ma in fondo va bene anche questo, è fedele rispetto a ciò che mi è accaduto sino al giorno prima della mia discussione (il mio processo non si è risolto).
Ora che il tempo (un mese e mezzo) ha attutito tutto, mi sento di farlo, specialmente perché sto ricevendo la sensazione che ne possano beneficiare altri, appunto, e perché varie persone mi hanno chiesto di leggerla.
Quindi, che sia. Diamoci in pasto, lasciamola uscire, dimentichiamoci di ciò che ero quando l'ho scritta. Se qualcuno darà fuoco a quella me, poco importa, non sono già più io.



In nome di tutte la miriade di idee che una mente creativa può sfiorare ogni giorno, la maggior parte delle quali, in realtà, non potrà mai essere realizzata...

Saturday, 24 March 2012

Schizzi a cavallo tra le stagioni


Autoritratto Provvisorio

Quel titolo l'ho rubato a piene mani dal vocabolario della mia amica Dorotea (ritraggo me e ritraggo un po' anche te, come già avevi fatto te / altrove), la quale, periodicamente, si fotografo-racconta sul suo blog e raccoglie i post, appunto, nella serie Autoritratto Provvisorio (con questa tag potrete seguirla). Nel caso non fosse chiaro, questo è un invito a nutrirsi dal suo blog, perché quella benedetta fanciulla sa usare le parole a dovere. Sempre nel caso non fosse chiaro, questo autoritratto le è dedicato.
Tra l'altro trattasi di ritratto speculare astrattamente scombinato — al posto di uno specchio ho aperto la webcam e ho impasticciato le cose a destra con quelle a sinistra e poi ancora, ma chissenefrega.
È stato strappato perché potesse essere scansionato, come altri disegni qui di seguito, ma ora sia lui che gli altri sono tutti tornati nello strepitoso quanto ostico carnet di appartenenza donatomi da madame Greta Xella (grazie&fanculo di nuovo, eh, regalami pure cose impossibili, stronzetta!).

As usual, 'sto disegno mi sono messa a farlo in una delle notti più incasinate di una delle settimane più incasinate di uno dei mesi più incasinati di uno d—. Va be' va be', come sempre ho tremila cose da fare, è già notte tarda, ma io sono stata colta da scansionamento compulsivo di alcuni degli schizzi dell'ultimo mese, a cavallo tra un carnet e l'altro. Quindi ora ve li beccate. Sono anche molti molti meno di quelli che avrei voluto realizzare (oltre che scansionare), perché nel continuo trotterellare di queste settimane, ho molto più spesso anteposto il dialogo al disegno...
Ogni tanto, ci sta.

Greta e io in metro a Milano, truccate da teschi (la metro è chiaramente riconoscibile nel mio volto poiché mi specchiavo nel riflesso del finestrino)
Brutti ceffi© in un pub fiorentino (il brutto ceffo© a destra mi aveva palesemente sgamato nonostante fingessi di ritrarre la mia nana Rib.)
Tizio che ho visto davvero il mese scorso e, giuro, mi parlava pure
Umile riproduzione di un Supremo Altorilievo del Portone di Santa Maria in Croce, dove sono stata investita da un solitario pianto molto filologico causato da Troppa Bellezza
Il Ponte Vecchio a Firenze, riassemblato per automatismo psicologico visivo casuale (con gabbiano)

... E anche questo, come sempre, non è tutto!
Baci indaffarati, Mondo


Eta


PS. Chiedo scusa per le sintassi senza un respiro, ma sono un criceto ad otto zampe in una ruota fosforescente che non ferma non si ferma e! e! e! / anche tutto il resto / al momento / deve stare al mio tempo!

PPS. Ogni tanto, però, lo giuro, quando sto a naso in su, i lampioni chiacchierano con me e la fretta non m inquina... Chiacchierare con i lampioni è sicuramente una cosa che farò più spesso da aprile in poi...

Thursday, 22 March 2012

Matrioskattiva /// Happiness is real only when shared [?]

Dopo solo quattro mesi senza scansione di rito, ecco qui la mia illustrazione per Matrioskattiva, l’esposizione avvenuta a Una Specie di Spazio a novembre (principale oggetto della mostra erano le matrioske personalizzate da diversi artisti, la maggior parte dei quali studenti di Brera; l’intero ricavato delle vendite, lo ricordo, è destinato ai bambini di Černobyl', quindi, se qualcuno fosse incuriosito da queste belle cosette colorate, provate ancora a prendere i contatti, la causa merita e quelle bellezze altrettanto).


Riguardo la citazione da Christopher McCandless aka Alexander Supertramp che a sua volta cita Lev Tolstoij ("happiness is only real when shared"), da novembre ad oggi la mia testa ha macinato molto.
Naturalmente è uno di quei nodi esistenziali su cui ciascuno di noi si trova ciclicamente in crisi tutta la vita, non mi aspetto una risposta definita formato tascabile da mettere vicino alla tessera del supermercato, eppure eppure. Eppure credo di: non concordare.
Mi piace anche la mia gioia solitaria, mi piace un sacco.
Riformulo un più elastico ed entusiastico:

happiness is more fucking real when shared!

Ecco, così ci siamo.
Impareggiabile la musica a volume dissanguante nelle cuffie.
Impareggiabile anche ballare in riva al fiume insieme ad altri animali, simili a te o forse no, giusto?

Sì, è vero, continuo a pensare che siamo delle isole, tutti noi umani. Comunicare veramente è utopico.
Eppure.
Eppure le barche e le navi sono una figata, gente. Voglio dire, collegano le isole!
Anche le zattere! (Mal che vada poi vi sublima Géricaut, non temete...)
Personalmente, credo mi si addica un vascello.

(Il sudore mio tuo suo unico bagno in mezzo a un concerto torsi nudi e piedi pestati occhi al palco e capelli tirati, quel sudore è un vascello.)

•••

Nota da maniaca: la carta è carta da pacco.
No, gli acquerelli non prendono sulla carta da pacco, non scherziamo.
Gli acquerelli sono dei signorini aristocratici e funzionano bene solo su cose come i fottuti Arches fondé en l'An 1492 costiamo un euro a foglio o giù di lì.
Per cose grezzone così, senza nulla togliere ai miei amati acquerelli, vorrei dedicare un piccolo canto muto alle ecoline. Fide compagne molto più grezze, colore liquido teppista da strada ma egualmente elegante. Le ecoline sono delle groupie con gli stivali di vernice, prendono dappertutto e mantengono i loro colori accesi. Se volete ubriacarvi, uscite con le ecoline, quelle stronze reggono l'alcol meglio di voi fichette.


... Fuck, stavo parlando dello slancio verso gli umani e mi ritrovo a dichiarare amore agli oggetti che ho sulla scrivania?
Tutto bene, non fa niente.
Disegniamo un vascello?

Tuesday, 20 March 2012

AvverBiografia

assolutamente
fondalmentalmente
tendenzialmente
naturalmente
altrove

Monday, 19 March 2012

Tentacle



Piccolo omaggio su tela a chi attende insieme al sognante Cthulhu...

Wednesday, 14 March 2012

OMBRE /// La sfilata di Letizia Mascagni

C'era davvero tanta carne al fuoco per Ombre, la mostra piena di eventi organizzata a Prato da La Stanza Segreta (se volete vedere un po' di foto di backstage alquanto imbarazzanti e a tratti rock, qui c'è l'intera galleria, ma in generale potete seguire la loro pagina facebook per sapere dei concerti e delle varie date importanti che continueranno fino a fine mese).

All'interno della carne al fuoco, come accennavo, c'è stata la sfilata di Letizia Mascagni, stilista degli stupendi abiti (indossati da Greta Xella, Rib., e me) e autrice della performance. Qui trovate molte foto, incluse quelle dell'intera inaugurazione, de La Cura di DCF e dei concerti. Qui, invece, c'è un video che documenta la parte centrale della sfilata (grazie, Andre).

Grazia alla sfilata, il mio complice* Beto mi ha scattato un paio di foto delle sue.

Male a sapersi
Carcass

Ho sentito subito tantissimo mio quell'abito, nonostante l'abbia visto solo una volta finito, direttamente a Prato. Sicuramente per via delle sue evocative fattezze e... e anche perché (congratulazioni alla stilista nonché sarta) sembrava veramente cucitomi addosso, lo si calzava benissimo!
Grazie a Beto, of course, e grazie alla bella Letizia, per avermi/ci invitato in questa esperienza!


* Prossimamente caricheremo materiale della nostra installazione Liquefaìti, giuro!

Monday, 12 March 2012

Caterina dei Teschi


La musa omaggiata è ancora una volta Rib., nobilmente impassibile mentre io la ritraevo (e lei collezionava still per il suo tumblr cinematografico rib.grab).


In un cocktail d'irresponsabile goliardia amplificato da Rib. stessa, a metà realizzazione questo ritratto è diventato una sfida con Reuben Negron, amico di Rib. e mostro dell'acquerello che era con noi in chat dall'altra parte dell'Oceano...
Usually I hate the competitive attitude, but I'm an idiot inside and, in this way, a challenge is fuckin' funny.
Reu, I'm waiting for your work!
FIGHT!



~ Un grazie particolare alla nostra signora e padrona. ~

~ Un grazie ancora più particolare a Totemica, protettrice dei disegnatori di chiome, aka mistica supporter a distanza ~

Sunday, 11 March 2012

Veli

Altre due opere di Rib. in cui io ero la cosetta di carne che lei è riuscita a trasformare.

 


Saturday, 10 March 2012

Disegni attorno a una nana

In questi giorni mi sono finalmente potuta togliere la soddisfazione di scarabocchiare un po' attorno alla mia lovely nana Rib. Non solo scarabocchi, in realtà, ma per ora posto questi.


 

Questo qui sotto è uno degli schizzi fatti sul treno di ritorno. Potevo anche non metterlo, ma mi garba, quindi lo infilo ora un po' random.



Quest'ultimo invece l'ho fatto stasera, ma è esplicitamente un omaggio a Rib.



Il signore rappresentato si chiama Coverdale.
Tutto quello che potrei dire su Coverdale facciamo che non lo dico.
Nana, a te l'onore.
Sfoga tutta la tua toscanità.


•••

(auto-Rib-scatto di me e lei)

Friday, 9 March 2012

These Boots Are Made For Walking (you ain't had time to learn)

Innanzittutto un paio di stivali.
Un paio di stivali per i miei piedi traditori.
Al destro vengono facilmente crampi; in generale, i miei piedi soffrono esageratamente il freddo.
Ho una discreta resistenza al freddo, mi ci sono addestrata sin da bambina. Ma i miei piedi vanno fuori gioco facilmente. Si gonfiano, perdono sensibilità, mi fanno sentire il freddo che fa male, fanno i capricci, non sanno stare.
Questo non dev'essere un buon motivo per fermarsi.
Basta provvedere. Alla peggio, un paio di calze spesse e una suola che li isoli bene dal terreno, ma i miei piedi non devono fermarsi.
Il mio nuovo vecchio paio di stivali è già morbido: sono usati, sono abituati a prendere la forma dei piedi che camminano. D'inverno potrò indossare tanti paia di calze agilmente. Ma anche con un unico paio di calze leggero, i miei nuovi vecchi stivali si fanno ben calzare dai miei piedi impavidi ma fragili. La forma è quella giusta.
I miei piedi vanno storti sulla Terra, è ormai lampante: ogni mio tacco destro è alto la metà del sinistro. Si logora all'interno. Pensare alla mia camminata come a una cosa sbagliata suggerisce all'hyper-linking-mind una miriade di dubbi. Però non ci bado, sono capricci anche quelli. In ogni caso, bisogna camminare.
Il mio nuovo vecchio paio di stivali viene da un negozio nuovo vecchio a Firenze, mi ci ha portato la mia piccola Rib, che mi maledice perché, coi suoi piedini da bimba alta un metro e un bouquet, non riesce a trovare calzature incazzate che le si addicano rock. Io invece provo tutto e tutto mi va, anche troppo, trovo perfino un trench scamosciato verde sottobosco che, per la prima volta in vita mia, non ha le spalle il triplo delle mie. Praticamente il trench che ho sempre sognato. Ma non lo posso comprare, anche perché costa del denaro che serve ad altro.
Gli stivali vecchi nuovi, invece, la bella e simpatica rocker dietro al bancone me li fa pagare anche meno, mi fa piacere darli a te. Li voleva lei, aveva cercato di farci entrare i suoi piedi per una settimana, ma proprio non erano i suoi. I miei piedi sembra che invece li abbiano già abitati, questi cowboy boots. Per nulla femminili, senza la caviglia stretta che tanto mi garba, se ne vanno su dritti dritti e ricamati texani come due baobab da guerra. La punta è all'insù, ma appena appena, comunque non da deformarmi: i miei piedi ci possono perfino dormire. Non hanno stronzate ad agghindarli, non mi ci impiglierò tra i rami. E i tacchi sono giusto un paio di dita. Sono cowboy boots che devono durarmi una vita, mi dico. Falli risuolare con la gomma, resisteranno il triplo, dice la bella e simpatica rocker dietro al bancone, con la sua chioma rossa e la pelle di porcellana che le bacia gli occhi da femme fatale. Lo farò, bella rocker, devono durare una vita, questi stivali, these boots are made for walking, li rovinerò tanto e li porterò nei posti peggiori, li tratterò senza riguardo; finalmente ho trovato degli stivali che terranno testa alla mia camminata storta e cocciuta.
So poco dei posti in cui camminerò in futuro.
Ho giusto deciso che non decido, non per ora, non per molto, forse decido solo una componente di variazione frequente, soprattutto decido un matrimonio con la serendipità: che sia quel che sia, mi sono addestrata al freddo e ho imparato ad apprezzare anche la più ignobile afa. Non so se camminerò nel caramello o sui chiodi, sulla roccia o sul pavimento di un lucente prefabbricatoduemiladodici, non so se li consumerò presto, i miei stivali, o se riserveranno la loro resistenza per il futuro quello un po' più in là ancora, ma so che innanzittutto voglio essere pronta. Li puoi anche far costumizzare, se ci vuoi la punta in metallo, ci farò mettere una punta in metallo, alla mia già appuntita punta di cuoio. Sappiamo tutti che una punta di metallo su una già appuntita punta di cuoio può essere molto funzionale, per una donna che non sa dove camminerà e che probabilmente camminerà molto da sola. Magari mi servirà solo per smuovere la terra e ritrovare qualcosa.
Non so dove camminerò, nell'imminente futuro, so qualcosa ma ancora poco, e quel qualcosa per ora non va scritto. So che anche se passassi mesi su una poltrona a fissare il muro per sfondarlo con lo sguardo, indossare dei cowboy boots mi farà sentire più ancorata a terra. In fondo, lo so: ho bisogno di qualcosa che mi ancòri a terra, il mio cervello è un palloncino a elio ricoperto di petrolio. Ho bisogno di un'armatura: se starò nell'ovatta, sarà un'armatura da me stessa, se starò nell'acido, sarà un'armatura dall'esterno. Armatura inoffensiva, armatura morbida, armatura parziale (solo ai piedi, solo al punto debole). Ma un'armatura serve, giusto la base per star su. Il corpo può restare in balìa, ma i piedi no. Non finché giocano a fare i piedi traditori col freddo. Per ora riesco a camminare scalza spesso, ma non col freddo. Piedi traditori, ora non mi fregherete più.
Innanzittutto un paio di stivali, nei cui ricami già c'è la polvere che ascolterò blues.


Tuesday, 6 March 2012

Come to the Sabbat




Per la mostra Ombre de La Stanza Segreta, Rib. mi ha mitragliato di foto, di cui tante scartate, altre macerate, altre stampate e incorniciate, ovviamente (noi le posteremo presto, ma potete sempre andare a Prato: l'esposizione dura fino al 31 marzo).
Queste due sono alcune delle foto non scelte, ma su cui comunque Rib. ha fatto le sue magie, ispirata dal teschiaccio opera di David Fragale.
(Il titolo è stato fieramente rubato dai Black Widow, in nome del Metallo di cui è fatto l'animo di Rib.)


Prossimamente un sacco di altre immagini, nonché varie foto documentative della mostra, nonché varie foto documentative della nostra idiozia (temo).

Saturday, 3 March 2012

Annegamento



Sorvolando sullo schizzo, vi ricordo che domenica, alle 16, inauguriamo Ombre a Prato.