Se mi veniva chiesto di cosa tratta la mia tesi, prima di discuterla citavo il processo creativo.
Se mi viene chiesto di cosa tratta la mia tesi, ora che l'ho discussa cito il fallimento.
L'idea originaria era, circa, di scrivere del processo creativo mentre io stessa creavo un'animazione. Un'animazione priva di un soggetto o di un qualunque storyboard da seguire, un'animazione decisa giorno per giorno. Nella tesi scritta, avrei quindi parlato anche del personale processo creativo che avrei vissuto realizzando questo video.
Nei mesi che mi sono concessa, però, qualcosa è andato storto. Le espressioni comuni che potrebbero dare un'idea di quello che è successo sono "blocco creativo", "crisi esistenziali" e cose di questo tipo, amplificate, intrecciate, sovrapposte, esplose e implose.
Il mio processo si è mangiato il progetto.
Il mio progetto è diventato il processo.
Ho sempre concordato con l'idea che il percorso possa valere forse più della meta, ma a patto che questa non diventi una scusa per la propria arrendevolezza.
Fino all'ultimo, ho sperato di farcela.
In quei momenti in cui vedevo delle immagini nella mia mente che avrei voluto rappresentare, ero euforica, ero veramente stravolta dall'ispirazione. Io lo volevo fare davvero, ci tenevo.
Ma, appunto, qualcosa è andato storto.
Sicché è questo qui sotto il video che concretizza il mio processo creativo — il video che ho presentato durante la discussione della mia tesi.
Se vi state chiedendo se avete dei problemi di visualizzazione, no, non li avete, sono proprio cinque secondi di nero.
Nonostante il mio parto creativo sia finito con un bimbo già morto in grembo, la gravidanza c'è stata eccome. Il processo, per quanto fallimentare, è avvenuto.
Questo processo è quindi ciò che ho comunque tentato di spiegare nella tesi scritta, che potete leggere online
qui.
Non crediate che leggerla al monitor sia una modalità in surrogato.
Io stessa l'ho scritta e per prima fruita a monitor, chiaramente, e la mia attitudine era affine a quella dello stream of consciousness, che, in un certo senso, percepivo anche nell'atto dello scrolling. Scorrere un unico nastro verticale di parole è un atto di lettura ininterrotto, non spezzato dalle pagine da sfogliare (così ordinatamente divise tra pagina a sinistra e pagina a destra e retro e fronte).
La versione cartacea è stata rilegata come una fisarmonica verticale, con un pezzetto di scotch lungo la parte corta del foglio: anche in cartaceo, quindi, la mia tesi è un unico nastro verticale (piegabile).
Il processo si è mangiato il progetto, dicevo, e per questo motivo ho stampato sui fogli di animazione che riportano su un lato i buchi da registro. I fogli su cui dovevo disegnare, sono diventati i fogli su cui c'è scritto perché non ho disegnato.
Quanto a copertine e rilegature, naturalmente non c'erano. Ho presentato la mia tesi sbattuta dentro un sacco nero dello spazzatura.
Questo è più o meno quanto serve sapere per fruire del mio lavoro.
Però vorrei aggiungere una considerazione a posteriori.
Il mio lavoro è andato bene, è stato apprezzato. Cose che possono accadere nelle Accademie di Belle Arti, non a Giurisprudenza, naturalmente. Ne conosco anche il motivo, lo condivido.
Conscia di una modalità simile, io avrei potuto fare la furba, calcolare tutto ciò mesi e mesi prima, e spassarmela per tutto il tempo di mezzo.
Invece sono sensibilmente tonta, quindi, quei mesi, come dicevo, sono comunque stati di sentita gestazione. Vissuta tutta, fin troppo.
Non per drammatizzare eccessivamente, ma la metafora della gravidanza è davvero calzante. Prendetela con le dovute pinze, non voglio paragonare l'entità delle due esperienze, ma voglio sfruttarne i paralleli per spiegarmi.
Del mio parto di bimbo morto non potrò mai essere contenta, gioiosa, euforica, nonostante tutti mi abbiano tenuto la mano e mi siano stati vicino comunque se non di più, quando è successo. Anche una gravidanza che va male è un'esperienza "interessante" da condividere, d'altronde. Lo riconosco. Questo deposita in me consolata e mesta fierezza. Soprattutto perché chi viene a contatto con questa storia ne resta piuttosto colpito, di solito: questa storia comunica. E lo scopo primo è sempre quello lì: comunicare. Se tutto ciò, quindi, può portare qualcosa a qualcuno e lasciare qualche piccola traccia dentro altri corpi, io sono già soddisfatta, profondamente. Alcune persone mi hanno dimostrato veramente tanto apprezzamento, tanta empatia, addirittura tanta stima, soprattutto qualcuno mi ha dimostrato di esserne rimasto "turbato" nel senso più nobile, mi ha dato l'impressione che ciò che ho vissuto io germogliasse viralmente anche in altre persone, potesse far riflettere. Questo è molto importante; questo mi tira su. Però tutta questa storia resta una nascita mancata, quindi la mia soddisfazione non sarà mai una sensazione del tutto positiva. Non sto elemosinando pacche sulle spalle, per nulla al mondo. È lampante, però, che non posso indossare la gioia di un vero vittorioso, tutto qui. Lo dico in modo sereno, ormai, quasi come cronaca di un ricordo di me.
Essendo una tesi così criminalmente personale, ho a lungo esitato dal renderla pubblica.
Per altro detesto il modo in cui si chiude, brusco e incompleto, avrei preferito avere il tempo di un finale che cullasse e risolvesse. Ma in fondo va bene anche questo, è fedele rispetto a ciò che mi è accaduto sino al giorno prima della mia discussione (il mio processo non si è risolto).
Ora che il tempo (un mese e mezzo) ha attutito tutto, mi sento di farlo, specialmente perché sto ricevendo la sensazione che ne possano beneficiare altri, appunto, e perché varie persone mi hanno chiesto di leggerla.
Quindi, che sia. Diamoci in pasto, lasciamola uscire, dimentichiamoci di ciò che ero quando l'ho scritta. Se qualcuno darà fuoco a quella me, poco importa, non sono già più io.
In nome di tutte la miriade di idee che una mente creativa può sfiorare ogni giorno, la maggior parte delle quali, in realtà, non potrà mai essere realizzata...